domenica 9 novembre 2014

Nelle miniere del Tio

Siamo fortunati: abbiamo una guida tutta per noi; Evelin, una donna: le cose cambiano anche qui, prima era vietato alle donne indigene entrare perché la Pachamama, "moglie" del Tio è gelosa. Ci fa indossare casacca da minatori, stivali e caschetto con luce, si prende il bus, come fanno i minatori e si sale al Cerro Rico. Si scende un pò prima, al Mercado del Calvario a comprare dinamite, foglie di coca, aranciata e alcol puro. Sono "i ferri" del mestiere perché qui molti minatori sono liberi professionisti e si procurano da se l'occorrente e lavorano quando e quanto vogliono.
Oggi la "mina" è ferma: fino a domani compreso è la festa di Potosi, stamattina c'è il discorso del Presidente Morales in piazza e i minatori sono patrioti per eccellenza.
Mentre tutti sono in centro, noi tre entriamo nelle viscere del Cerro Rico.
C'è caldo: se scendessimo fino in fondo ci sarebbero 40 gradi e molto molto umido.
Sullo sfondo il Cerro Rico di Potosì
Evelin ci conduce prima di tutto dal Tio (ci sono 240 entrate, ognuna con la sua statua). Quando entri, devi fargli un offerta perché sulla terra regna Dio, ma sotto terra regna lui, il Tio, che i minatori si guardano bene dal chiamare "Diavolo" perché non si offenda: meglio chiamarlo Tio (zio), più familiare. Inoltre non è necessariamente cattivo: può essere benevolo, consentirti di uscire, con molto minerale, guadagnare e mantenere la famiglia.
Appena entrati gli si offrono un paio di sigarette e di asperge la statua con l'alcol. Al buio, la statua è davvero sinistra, ma ancora più sinistro è il volto di Diego Hullpa, l'indio peruviano che scopri la miniera nel 1500, che emerge da sotto i piedi del Tio... in passato i mineros sono stati anche 20.000 mentre oggi, con la mina in esaurimento sono solo 2.000 di cui 500 donne che lavorano fuori terra nelle raffinerie: sono le donne dei mineros rimasti uccisi o invalidi negli incidenti, ogni anno circa 20-30, che lavorano qui per mantenere la famiglia.
Qui non ci sono protezioni, può capitare di essere schiacciati dai carrelli in corsa pieni di materiale oppure investiti dalla deflagrazione delle esplosioni anche se queste avvengono ad orari concordati... ma chi lo guarda l'orologio? Qui sotto tutte le ore sono uguali.
I bambini sono preziosi perché si introducono in cunicoli molto stretti ma vengono pagati meno della metà di un adulto, che se va bene, prende 500 euro al mese. Si guadagnano circa 10 boliviani (poco più di 1 euro) a carrello (che deve essere spinto fuori a mano dove non c'è pendenza e riempito a zaino se si scava verso il basso).
Se va bene perché se il materiale non contiene tanto minerale, perché il Tio non è stato benevolo, o la vena in cui si cavava si è esaurita, si guadagna meno: è il rischio di impresa...
Percorriamo cunicoli e scendiamo scalette che da noi nemmeno le ferrate... e Evelin ci spiega che l'alcol ha anche un altro uso oltre a quello cerimoniale e alimentare: per capire se c'è ossigeno se ne versa un pò per terra e gli si dà fuoco, se brucia si può stare, se si spegne meglio allontanarsi perché il cunicolo è invaso da gas nocivi.
Quando usciamo la luce del sole ci infastidisce gli occhi e proviamo ad immaginare il sollievo che ogni giorno i mineros devono provare quando portano fuori la pelle, in attesa di riscendere il giorno dopo.



2 commenti:

  1. Spaventoso per una claustrofobica come me...forse l'inferno in terra è proprio quello...Eli

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  2. anch'io non ci andrei mai. già quando vado ai Busoni, non vedo l'ora di uscire alla luce del sole. claustrofobica anche io

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