Intanto la temperatura in tenda scende a -3, ma se non fosse per il vento rabbioso che scuote incessantemente la tenda, nei nostri supersacchi a pelo si dormirebbe anche bene...
Quota 5700 |
In vetta quota 6008 |
Alla nostra destra c'è la parete con gli ultimi 300 metri: è maledettamente verticale ma il fondo è farinoso e il percorso è a zigzag.
Arriviamo in cima alle 11.45, esultiamo e ci abbracciamo! Quota 6008 metri sul livello del mare, mai saliti così in alto nella nostra vita! Il cielo è ancora senza nuvole, la temperatura è tiepida e non c'è vento. Ma soprattutto - signori - il panorama che ci si presenta là sotto a 360 gradi ci lascia a bocca aperta! È una visione primordiale e sterminata in cui si apprezza la curvatura della superficie terrestre; sulle colline ondulate color terra bruciata si ergono a perdita d'occhio montagne più alte in cui spiccano una miriade di vulcani, alcuni innevati; è facile immaginare il ribollire del magma quando il pianeta era in "preparazione"; sono riconoscibili anche le basi di quelli che dovevano essere due ghiacciai che ancora abbracciano il Cerro Quentena, alla base del quale vediamo i luccichii delle lamiere dei tetti del paese di Quentena Chico, da cui siamo partiti ieri pomeriggio e dove dobbiamo tornare stasera. Tra una collina e l'altra le molte lagune del Parco Avaroa: turchine, bianche, verdi e rosse contrastano con il colore uniforme del deserto.
E sopra un cielo azzurro senza fine: che meraviglia!
Facciamo una miriade di foto. Non possiamo rimanere in vetta troppo tempo perché abbiamo tutta la discesa da affrontare: ci concediamo 30 minuti di cui gli ultimi 5 di contemplazione silenziosa.
La discesa a piedi non presenta difficoltà se non i sassolini che entrano nelle scarpe a tormentare i piedi ancora umidi per la neve. Tornati alle bici alle 12.40 con 20 minuti di anticipo, ci mangiamo l'ultima barretta e iniziamo la discesa in bici: se in salita si facevano i 4 km/h, in discesa si fanno gli 8 perché lo sterrato è impegativo, il campo base dista 10 km e un problema alla bici qui significa passare la notte a -20! Scendiamo con prudenza fino alla tenda dove ci diamo un bel cinque, riposiamo un pò e poi cominciamo a smantellare il campo base: sono le 14.00 ma siamo cotti e con un pò di mal di testa (che una tachipirina è sufficiente a guarire); ma la giornata non è finita. Dobbiamo tornare a 4200, a Quentena. È discesa ma lo sterrato sabbioso e roccioso farà si che ci vogliano almeno due ore, sempre che il vento non ci soffi contro.
Alle 15.30 partiamo e grazie ad un vento contrario solo moderato siamo al paese alle 17.30 (dove ci aspetta il solito secchio di acqua calda per la doccia). Il ritorno dalla sella a Quentena (31 km di sterrato) è stato facilitato dal fatto che ci è bastato seguire le tracce lasciate dai nostri copertoni all'andata (quando invece ci eravamo avvalsi di un disegno di Don Marcelo - il proprietario dell'alloggio): in due giorni non abbiamo incontrato nessuno, l'Uturuncu è stato "solo per noi" e questo ci ha dato durante la salita la sensazione di trovarci in un luogo ancora più remoto (di fatto ci troviamo in Bolivia e in mezzo al deserto del Lipez, ma se non fosse bastato...). Quando ti trovi difronte a visioni spettacolari e maestose, vorresti che tutte le persone a cui vuoi bene fossero lì a goderne con te. Scendendo però abbiamo deciso di dedicare la salita all'Uturuncu, che consideriamo la ciliegina sulla torta del nostro viaggio, alla memoria e alla famiglia di Andrea Zambaldi, astro nascente dell'alpinismo veronese, scomparso pochi mesi fa salendo verso gli 8000. Non abbiamo avuto occasione di conoscerlo direttamente, ma siamo sicuri che saliva per la stessa "in-utile" ragione per cui anche noi oggi salivamo.
comunque noi eravamo lì con voi. la pagina dello spot è aperta 24 h su 24 x vedere dove siete
RispondiEliminaÈ un racconto commuovente...grazie...eli
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